Migranti.
Barconi.
Scafisti.
Porti.
Centri di accoglienza.
Mare.
Attracco.
Sbarchi.
Clandestini.
Parole. Buttate qua e là, in qualsiasi discorso che negli ultimi mesi si fa in Italia.
Come che, l'Italia, fosse il primo ed unico posto in cui sono avvenute migrazioni.
Come che milioni di italiani non siano andati in America, così come negli altri stati europei, prima della seconda guerra mondiale per cercare lavoro, fortuna, serenità.
Per cercare un tetto per i loro figli, uno stipendio per sfamare una famiglia, una vita dignitosa.
Come che tutti gli immigrati si facessero mantenere senza fare nulla.
Come che nessuno si rimboccasse le maniche e facesse del proprio meglio sotto tutti gli aspetti.
Così come fanno i coniugi Rivera, Alma e Arturo, nel libro "Anche noi l'America" di Cristina Henriquez. Pubblicato nel 2016 da NNEditore, ristampato nel 2019, nel periodo forse più perfetto per leggere questo libro.
Alma e Arturo, originari del Messico abbandonano la loro vita, la loro casa, il loro lavoro, la loro stabilità per trasferirsi in America. Spendono gran parte, se non tutti, i loro soldi per trasferirsi regolarmente, per iniziare una nuova vita. Non per voglia di cambiare, non per voglia di fare un viaggio, non perchè stiano lasciando qualcosa per un qualcosa di migliore. Ma perchè la loro unica figlia, adolescente, ha avuto un incidente. Un trauma cerebrale l'ha resa una persona diversa da quella che era. Parla poco, non risponde, si dimentica le cose, e così è costretta a girare con un quadernino verde in cui annota le cose importanti che potrebbero servirle. Maribel, questo il nome della ragazza, necessita di particolari attenzioni, una scuola adeguata, un percorso riabilitativo che la aiuti a tornare a ciò che è sempre stata.
Partono, quindi. Arrivano in una nuova casa, in cui l'unico letto è un materasso buttato a terra. In una nuova città, in cui i supermercati vendono cose diverse, prezzi diversi. In un nuovo stato, in cui si parla inglese e non la loro lingua.
Hanno anche dei nuovi vicini, che accompagnano nella narrazione la famiglia Rivera. Sono i Toro, un'altra famiglia immigrata già anni prima e con un figlio della stessa età di Maribel, Mayor. Il ragazzo si innamora a prima vista di Maribel, che anche dopo l'incidente ha mantenuto la sua strabiliante bellezza.
Attraverso un percorso narrativo a più mani, che tocca i punti di vista di tutti i protagonisti esclusa Maribel, veniamo a conoscenza della vita che questi immigrati latini fanno in America. Conosciamo come si sono o non sono integrati, che cosa fanno nel loro quotidiano, cosa sognano, cosa provano, cosa pensano.
Conosciamo l'immensa forza di volontà che essi mettono in ciò che fanno.
Perchè ci credono.
Perchè hanno bisogno di ciò per cui stanno lottando.
Perchè sanno mettere da parte tutto, a volte anche la dignità di essere umano, quando le necessità della famiglia sono più importanti.
Con una dolcezza disarmante la Henriquez ci racconta tutto questo.
In un libro con un linguaggio diretto, pacifico, comprensivo.
Attraverso una storia coinvolgente, toccante.
Una storia che può essere la storia di milioni di persone.
Una storia che dovremmo sentire anche un po' nostra.
Per ogni volta che critichiamo senza sapere.
Per ogni volta che parliamo senza conoscere.
Per ogni volta che consideriamo il mondo diviso in paesi e non abitato tutto da esseri umani.
Orgoglio, forza di volontà, voglia di farcela, riscatto, coraggio.
Elementi che emergono in ogni pagina da ogni personaggio che ci racconta la propria storia. Dalle origini, al presente, passando per i motivi e le avventure che lo hanno portato ad essere ciò che è.
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