martedì 16 novembre 2021

Recensione "Canaglia" di Pasquale De Caria - Graphofeel

 Come ho già scritto su Instagram in questo post, questa è stata una lettura difficile.

Perché ho odiato alcuni elementi, come il non dare nomi, che in realtà, una volta inquadrato tutto bene, è l'elemento più geniale e più importante. Un elemento chiave per capire tutta la storia.

Perché ho fatto fatica a leggerlo, ma al tempo stesso non sapevo come staccarmene. L'ho letto in fretta e assimilato lentamente. Forse, del tutto, non ci sono ancora riuscita dopo un mese.

Perché arrivavo da due libri meravigliosi, ed è sempre rischioso essere "il libro dopo..." eppure ci è riuscito, ha saputo prendersi il suo spazio e tenerselo stretto. 

Ambientato in una Napoli degli anni '70, spazio e tempo dove è nato e cresciuto l'autore, Pasquale De Caria, racconta la storia di Eliseo, bambino vivace, allegro, che vive con la famiglia e che ama la spensieratezza che caratterizza i bambini della sua età. Va a scuola, come tutti i suoi amici, eppure lui non è uguale agli altri. A lui le parole non vanno giù, le vede come mattoni di un muro contro cui sbatte, che non riesce ad abbattere. Leggere e scrivere, per Eliseo, sono ostacoli enormi. Eliseo è dislessico, ma nessuno attorno a lui se ne accorge, oppure nessuno dà importanza a ciò. E quindi Eliseo si sente un nulla, un piccolo granello del mondo a cui nessuno dà ascolto, di cui nessuno si preoccupa. Cerca allora una strada alternativa, quella della violenza. Dove non servono le parole. Dove non serve leggere. Dove non serve scrivere. Dove, finalmente, si riesce a sentire qualcuno.

Nella lettura è evidente come, Eliseo, sente molto il peso di sentirsi incompreso. In una realtà e in un periodo storico in cui, forse, la dislessia non si sapeva neanche bene come fosse. In una realtà in cui non c'erano i mezzi e gli strumenti per affrontarla nel modo giusto. In cui, forse, non veniva neanche diagnosticata. 

Come ho detto, nell'opera (narrata da Eliseo in prima persona) non vengono dati nomi: così troviamo l'Adulto Silenzioso, l'Adulta di Fiducia, Peperone. Tutti soprannomi, tutti soggetti a cui è stata tolta un'identità, come che fosse un modo per trasportare sugli altri lo smarrimento e l'incomprensione che Eliseo provava sulla sua pelle. Tutti, tranne uno: don Armando, che è anche l'unica figura che capisce Eliseo, che priva ad aiutarlo, che gli sta vicino. 

Una lettura intensa e toccante. 

Una di quelle letture che regala, al tempo stesso, tante domande ma anche tante risposte, lasciando il lettore totalmente smarrito, quasi un po' sconvolto, alla ricerca di qualcosa che si sa cosa sia.

Una lettura che sembra non avere un posto, ma che poi, alla fine, il suo posto se lo va a prendere.

Mettendosi in perfetto collegamento ed equilibrio con tutto.

Perché una cosa è sicura: il filo rosso che lega tutte le bellezze dei libri, passa sicuramente anche da Canaglia.

TITOLO: Canaglia
AUTORE: Pasquale De Caria
PAGINE: 218
FORMATO: copertina flessibile
CASA EDITRICE: Graphofeel
PREZZO DI COPERTINA: € 16,00

VOTO: 8/10
CONSIGLIATO A CHI: vuole una lettura toccante, emozionante, vera, che sappia trasportare, da cui sarà difficile staccarsi.



giovedì 14 ottobre 2021

"Tutto il bene, tutto il male" di Carola Carulli - Salani Editore

 Mi sono rifugiata in una felpa gigante, in cui rannicchiarmi.

Mi sono rifugiata in un the bollente e in un biscotto spezzato. L'unico rimasto ancora dentro il pacchetto, perché ho la mania di mangiare prima quelli rotti, poi, una volta finiti, quelli interi. 

Mi sono rifugiata in De André, e in quella canzone citata nel libro che per me ha un significato così speciale, così doloroso ma anche così bello.

Mi sono rifugiata nel silenzio, nei miei pensieri. Quelli che qualche giorno fa mi dicevano che era tanto, troppo tempo, che non trovavo un libro che mi tenesse letteralmente incollata alle pagine, qualsiasi cosa io stessi facendo. Cosa che, invece, con questo libro mi è successa. Perché ieri, correndo tra una metro e l'altra verso le lezioni, già in ritardo, non sono riuscita a staccarmi da quelle parole, continuando a leggere nei corridoi stracolmi di persone che correvano ovunque, alla fermata del tram dove ho cercato un posto all'ombra in cui nascondermi per vederci meglio. 

E mi sono rifugiata qui, un posto in cui ultimamente scrivo così poco. Ma di cui, ora, ho sentito il bisogno.

Mi sono rifugiata qui perché non ho un numero di caratteri limitati, perché posso mettere nero su bianco qualsiasi parola mi venga in mente - anche se per me, esporre questo tipo di emozione, è sempre un gran problema. 

Mi sono rifugiata qui perché da mesi, o forse anni, non mi sento completamente appagata dalla lettura come mi è successo con quella appena fatta, come che mi fosse entrata dentro, come che mi avesse ridato piccole parti di me che negli ultimi mesi ho perso o lasciato andare. Mesi in cui mi sono successe tante cose. Un continuo mare di eventi che mi si è scaraventato addosso come onde in tempesta, le onde di quel mare così presente tra le pagine, elemento costante.

Forse, un po', ho vissuto anche io quella storia, insieme a loro.

Insieme a Sveva, figlia di due genitori troppo diversi da lei. Un padre assente, sempre pronto a trovare scuse per fare altro, per sfuggire da quelle mura in cui non è mai voluto essere. Una madre che voleva crescere Sveva come lei, sempre attenta a seguire le regole, ad un certo stile e tenore di vita. Una famiglia infelice. Senza il coraggio di ammetterlo. Ma figlia di cuore di Alma, la zia materna, così diversa dalla madre di Sveva, così attaccata a quella bambina, ormai ragazza, che si rifugia in lei, nel suo amore e nel suo accettarla, così simili, così vere, così assetate di vita e di sogni. Due donne forti, ma piene di ferite e cicatrici, causate da genitori assenti, e da una vita troppo stretta per loro, destinate ad andare fuori dagli schemi. Anche i rapporti per loro sono sempre una cosa a sé. A partire da quello con nonna Alma, che condivide il nome con la nipote, oltre una somiglianza. La nonna che non ha mai conosciuto, che era una "sensitiva", come la chiama Sveva. Che però è una presenza costante nella vita della nipote, sempre pronta a trovare un modo per esserci senza esserci. Passando per l'amicizia con Dafne, piena anch'essa di ferite e cicatrici, ma sempre pronta a un gesto verso il prossimo. Con il cane Billo, salvato da una vita priva di amore. Arrivando poi a Tommaso, l'amore di Alma, con cui comunica con un codice tutto loro, e che le farà uno dei regali più belli della vita, Leyla. 

Attraverso le pagine si percorre tutta la loro storia, un continuo andare avanti e tornare indietro nei loro ricordi, nelle loro vite. Tutti gli avvenimenti che le hanno segnate, tutte le situazioni che hanno affrontato, tutte le persone che hanno fatto parte, anche se per un piccolo tratto, della loro vita. 

Un filo rosso che le lega, Alma e Sveva, più di un cordone ombelicale. Un filo rosso, voluto e sentito, e non imposto da una legge fisica o morale. Un filo rosso caratterizzato dall'amore, un amore puro per chi sa leggerci dentro, conoscerci, darci le risposte che cerchiamo. Un filo rosso con chi sa anche le cose più nascoste di noi, quelle che abbiamo paura di ammettere anche a noi stessi, quelle che vogliamo nascondere perché si sa, a volte continuare a vivere nell'inganno, senza fare un salto nel vuoto, può essere più semplice.

E invece Alma non ci sta, lei quel salto lo fa, una, due, tre, infinite volte. La sua vita è tutta un salto. Sa che certe cose sono giuste anche se dolorose. Sa che da certe persone bisogna staccarsi, per il proprio bene. Sa che certe persone, in determinate situazioni, vanno lasciate andare, anche se fa un male cane, perché in quel momento, per loro, è giusto così. Sa che ci sarà sempre un modo, rappresentabile in mille modi e in mille cose, per rimanere legato a chiunque, anche quando, a dividere due persone, è la morte. 

Un libro intenso, caratterizzato da un continuo susseguirsi di emozioni diverse capaci di arrivare dritte al cuore del lettore. Sembra una frase banale e fatta, lo so. Ma io quello che ho provato non so spiegarlo, i brividi, certe sensazioni, le lacrime che spingono per uscire, il nodo alla gola, la mente che inevitabilmente viaggia e trova collegamenti tra la tua vita e quella delle protagoniste,... sono tutte cose che, a parole, non si possono spiegare.

Una boccata d'aria fresca, anche se in certi passaggi, facendomi tornare alla mente certe emozioni e certe sensazioni vissute e provate negli ultimi mesi, l'aria me l'ha tolta. Mi sono sentita preda di sentimenti che sono tornati fuori, che io ho magari represso, perché subito ce n'era un altro pronto a riempirmi. 

Mesi frenetici, fatti di pianti -tantissimi-, paure -tantissime-, mancanze, speranze, respiri trattenuti, sospiri, lieti fini -a volte-, partenze, sogni -infranti e realizzati-, nuove realtà, pagine bianche. Tutte cose che non sono riuscita a vivermi a pieno, impegnata a pensare ad altro, a volte. A sentirmi in colpa, per cose troppo grandi o irrilevanti. A rinchiudermi in una bolla, perché in quel momento avevo solo bisogno di vivere il mio dolore a mio modo, di trovare un pezzettino, seppur minuscolo, da cui ripartire. A volte mi è sembrato di averlo trovato, a volte no. Ancora adesso spesso ho dubbi su tutto quello che è successo e che ho attraversato negli ultimi periodi.

Ma di una cosa ero sicura. Avevo bisogno di trovare pezzi di me stessa tra le pagine di un libro, ché io sono sicura che è l'unica cosa al mondo che è sempre davvero in grado di curare, anche se magari solo un pochino. 

E così mi sono rifugiata nelle protagoniste, in Alma e in Sveva. Ho sentito mie le loro cicatrici e ho condiviso le mie con loro, così come ho fatto con le ferite, quelle ancora aperte. Mi sono infilata nel loro abbraccio, così bisognosa di una cura, di un rifugio, di qualcuno che mi capisse e condividesse con me le paure, le colpe, i carichi di cose non mie, i rapporti tossici. 

Così bisognosa di qualcuno che mi facesse capire che i salti nel vuoto servono, sono necessari per poter diventare chi vogliamo essere, per essere felici di noi stessi. 

E che la sensazione di vuoto allo stomaco durante il salto può spaventarci, ma è in quel momento che capiamo davvero quanto lontano possiamo arrivare.

Un grazie speciale all'autrice, Carola Carulli, per avermi regalato le parole che mi servivano, per avermi accarezzato il cuore e non solo, inconsciamente, ma in un modo prezioso. 

Per i dati tecnici del libro vi mando qui, alla pagina della casa editrice, che io in preda alle emozioni non sono in grado di inserirli, ma vi prego, fatevi questo enorme regalo, un gesto d'amore verso voi stessi. Leggete "Tutto il bene, tutto il male". 

"Non mi dimenticate, sarò terra e polvere

e continuerete a camminare sopra di me. 

Quando si alzerà il vento saranno carezze

e quando tornerò sarà una nuova vita ancora."


mercoledì 7 luglio 2021

Cosa voglio leggere quest'estate?

 So che è estate inoltrata, so che è sicuramente tardi per fare una tbr estiva.

Ma la mia testa la momento sta scoppiando, per le troppe cose a cui pensare.

Pensieri, domande, dubbi, tristezza. E un futuro da programmare, non facilmente.

Un cambiamento, ancora. Che sogno, ma che mi terrorizza.

E allora provo a distrarmi, e a compilare una lista di libri che mi aspettano sul comodino da troppo e che devo finire/leggere!


martedì 29 giugno 2021

Recensione "Boys. Guida pratica al maschile per vivere l'adolescenza." edito Graphofeel

 Tempo fa vi avevo parlato di un libro rivolto alle adolescenti, edito Graphofeel.

Il libro in questione era "Girls. Guida al femminile per vivere l'adolescenza." e, essendo io stata un'adolescente femmina, la sua lettura era stata molto piacevole e anche fonte di molte domande e molti pensieri sull'adolescenza dei miei anni, circa dieci anni fa, e quella del giorno d'oggi. Vi lascio, cliccando QUI, il post in cui ve ne parlavo. 

Ultimamente, poi, ho letto lo stesso libro nella versione al maschile, ovvero "Boys. Guida pratica al maschile per vivere l'adolescenza." scritto dagli stessi autori, Federico Diano (psicologo esperto di adolescenza) e Martina Tedeschi (laureata in editoria e scrittura ed esperta di letteratura per ragazzi). 




Anche qui, ovviamente, il lavoro che è stato fatto dai due autori, è impeccabile. 

Organizzazione ottimale, divisione in macro e micro argomenti che permette il lettore di andare al punto del proprio dubbio, del proprio problema. Permette di scoprire gli argomenti man mano, nel momento in cui se ne sente il bisogno, senza dover leggere tutto il libro in una volta per andare alla ricerca, tra le pagine, della risposta che serve. 

Se per la versione femminile ero stata in grado di capire l'importanza di certe cose scritte, rassicurazioni, capacità di trasmettere la normalità di alcune azioni che da adolescente possono sembrare strane, esagerate, vergognose, in questo caso non avendo vissuto l'adolescenza maschile non posso dirlo con certezza, ma è ben facile intuire che valga lo stesso principio. 

Gli argomenti sono analoghi, ma visti dal punto di vista maschile, dal corpo maschile, dallo sviluppo maschile, dall'esperienza maschile. E, anche se può sembrare che a volte sia la ragazza ad essere più paurosa, più pudica, più riservata, penso anche i maschi, specialmente in quell'età difficile e caratterizzata da molti cambiamenti lo siano. 

Per cui, forse, questa versione è ancora più utile di quella al femminile. 

Parlando del libro al femminile mi ero immaginata un target di età a cui potesse essere rivolto, mentre in questo caso faccio ben più fatica. Quando sei un'adolescente fai fatica a mettere a confronto il tuo sviluppo con quello di un coetaneo del sesso opposto (un po' per mentalità diversa, per tempi diversi e magari soggettivi, per mancanza di conoscenza del processo adolescenziale altrui). Però, sinceramente, il mio consiglio è sempre quello di affrontare certi temi delicati con un adulto che può mediare le parole scritte nel testo, ovviamente oggettive ed universali, con la persona stessa che lo sta leggendo, in modo soggettivo.

Ribadisco, comunque, anche in questo caso l'utilità che può avere un testo del genere su ragazzini che magari cercano risposte e rischiano di trovarle nei posti o nelle persone sbagliate. Evidente è la preparazione, la competenza, la cura e lo studio fatto dietro la stesura del testo.

Come sempre vi lascio, cliccando QUI, il link della pagina della casa editrice, in cui poter trovare altre informazioni e poterlo acquistare!

mercoledì 26 maggio 2021

Canova. Vita di uno scultore - M. L. Putti (Graphofeel)

 Che Canova sia stato uno degli artisti più grandi mai esistito è risaputo. 

Basti guardare, per accorgersene, dettagli di genialità delle sue opere, come il Monumento funebre a Maria Cristina in cui utilizza una cavità buia per trasmettere il viaggio nell'aldilà, la morte come passaggio. O la perfezione dei dettagli, il contrasto tra il buio della morte e lo splendore del marmo bianco, le piccole e fini parti realizzate in oro, la cura e la maestosità delle palme, dei fiori, delle parti più minute e particolari. E questa è solo una delle molte opere che Canova ci ha lasciato.

Ma uno degli errori più grandi che si fa quando si parla di storia dell'arte è quello di ridurre un artista solo al suo lavoro e alle sue opere, senza mai curarsi della sua storia, della sua vita, di ciò che è stato al di fuori del campo artistico. Ed è per questo che quando trovo libri che si concentrano su questi aspetti (deformazione da aver compiuto studi nel campo, ma anche tanta passione) impazzisco di gioia e di voglia di leggerli.

Graphofeel, grazie anche allo splendido lavoro fatto dall'autrice, Maria Letizia Putti, mi e ci ha fatto questo stupendo regalo. Il poter scoprire la vita e la storia di Antonio Canova. 


Non si tratta di una biografia, ma piuttosto di un romanzo con al centro lui, lo scultore conosciuto per le sue opere, e mai per la sua persona. 
Se ci pensiamo un attimo, infatti, conosciamo cose di altri artisti. Conosciamo la vita travagliata di Van Gogh, di Caravaggio. Conosciamo la storia dello stupro di Artemisia, le difficoltà di Frida. Conosciamo la pazzia di Dalì l'ossessione per la luce e l'aria aperta di Monet.
Ma si parla sempre e solo di Canova, e mai di Antonio.

Qui, invece, la presenza di Antonio è dominante. Antonio con le sue emozioni, i suoi sentimenti, le sue paura, le sue fragilità.
Un perfetto equilibrio tra tutti questi elementi, con una cornice fatta di storia, perché come in ogni vita, le condizioni storiche in cui si vive influenzano la persona e l'artista.

Racconti privati, di infanzia e teneri. Molto particolare è il racconto della prima notte che Antonio passa fuori casa, nel laboratorio del Torretto, dove va per apprendere il mestiere. Antonio è agitato, non riesce a dormire. Ha freddo, ma non è questo il problema. Antonio, solo bambino, ha bisogno di qualcuno, ha paura. 
E questa paura, questi sentimenti così intensi, lo accompagneranno per tutta la vita.

Infatti, nonostante la meravigliosa carriera, nonostante fosse ingaggiato dalle personalità più importanti dell'epoca, come il papa, Antonio non ha mai smesso di essere umile, disponibile ad aiutare il prossimo, timido, non avvezzo alle attenzioni che l'essere l'artista del periodo gli portava.

Tramite documenti storici, testimonianze (anche dello stesso Canova), documenti riguardanti soldi (uno degli elementi che ci permette maggiormente di avere informazioni su artisti lontani, in ogni caso), corrispondenze, Maria Letizia Putti (autrice anche del meraviglioso libro su Luisa Spagnoli di cui vi ho parlato tempo fa) ci rende un'immagine a 360 gradi della persona e dell'artista, permettendo al lettore di vivere l'atmosfera e il clima del XIX secolo, tra ambienti aristocratici, papali, artistici ma anche tra le vicende storiche e tormentate del periodo.

Per avere più informazioni e acquistare il libro, disponibile in ebook e cartaceo, vi lascio, cliccando QUI la pagina della casa editrice. 


sabato 27 febbraio 2021

Un viaggio a Berlino.

 Berlino, Berlino, Berlino,...

Non è solo una città, non lo posso dire. E per tanto tempo anche io l'ho pensato, credetemi.

Ne avevo sentito parlare da molte persone che c'erano state con frasi del tipo "Non è una città da visitare. Cioè vai a Roma, è piena di monumenti. Berlino è una metropoli, non va bene da turisti...". 

Ma io, da brava capricorno testarda, alla fine se ho in testa una cosa la faccio indipendentemente da tutti, per cui quando mi sono trovata ad organizzare il mio primo vero viaggio, non ho esitato un secondo a chiedere alla mia migliore amica, che ha condiviso con me il mio sogno, di visitare Berlino. E così è stato. 

Dice lo scrittore Fabrizio Caramagna, a proposito: Ai visitatori Berlino mostra tutta la sua energia. Come se ogni cosa fragile, cedevole, fosse stata spazzata via dal vento tanti anni fa. Berlino è composta soltanto da quanto è in grado di resistere a una forza sconquassante. Berlino è ciò che resta dopo gli uragani.

Quando ci sono stata io questa frase non la conoscevo, ma ora, quando la leggo, non posso fare altro che sentirla proprio tanto vera. Se dovessi descrivere Berlino a parole mie la chiamerei "punto di energia". Berlino è caotica e frenetica, ovunque ti volti c'è un mare di gente che si muove, si sposta, corre, parla, è di fretta. Ma al tempo stesso è piena di musica, arte, cultura, sorrisi, positività.

Berlino è energia positiva.

E così, trovandomi a leggere un libro ambientato nella mia città del cuore, anche se più di un secolo fa, non ho potuto non ripercorrere quella settimana, non vedendo l'ora di tornarci. E, visto che ora non si può viaggiare ho deciso di tornarci, tramite i ricordi, e di portare anche voi insieme a me!

Siete pronti a scoprire con me luoghi da vedere e libri da leggere? Tenterò di farvi compagnia tutta la settimana!

Lunedì: primo giorno di viaggio e prima tappa. Per percorrerla, ho scelto la compagnia di alcuni personaggi speciali, David, Georg e Jegor. Anche perché, questa idea viene da loro, La famiglia Karnowski. Una saga familiare, scritta da I. J. Singer, edita da Adelphi. Ambientato tra la fine dell'800 e l'avvento del nazismo, attraverso tre generazioni ebree
- appunto, David, George e Jegor - e tre paesi. David, il primo, decide di lasciare la Polonia per Berlino (per rendere concreta l'idea che bisogna distinguere l'essere ebreo e l'essere uomo), città in cui vivrà fino alla sua anzianità, in cui assieme a Lea (sempre sofferente di aver lasciato la Polonia) si costruirà una famiglia, in cui il figlio maggiore, George, diventerà una personalità di spicco, in cui si creerà la sua famiglia. Il terzo protagonista, Jegor, è il figlio di George, e purtroppo non vivrà la vita del padre, soffrendo moltissimo la situazione. Un romanzo coinvolgente, da non lasciare finché non è finito. Personaggi diversi tra loro, ma ognuno unico e con lati ricchi di spunti per riflessioni. Una saga familiare che va al di là di ciò, perché consiste in una finestra sul ricambio generazionale, sulla storia che muta nel tempo, sulla crudeltà, sulla differenza di cultura tra i vari territori. Un classico, per troppo tempo dimenticato (nella storia e nella mia libreria!) ma assolutamente da recuperare. Un luogo da vedere? Il Monumento alla memoria delle vittime dell'Olocausto a Berlino. Situato nel quartiere di Mitte, luogo simbolico perché un tempo era la terra di nessuno, tra i due lati di Berlino - Est e Ovest - divisi dal muro. Il monumento consiste in quasi 3000 blocchi di cemento, simili a tombe di un cimitero, tra cui camminare come in un labirinto, tra cui riflettere. Scendendo le scale, poi, è possibile visitare il Centro Informazione, in cui trovare testimonianze e documenti diretti della Shoah. Un monumento simbolo della città, meta di moltissimi turisti, luogo in cui ricordare la strage che è stata fatta in Europa contro gli ebrei - e non solo. 

Martedì: secondo giorno del nostro viaggio, tema cultura: chi mi ha detto che a Berlino non c'era nulla da vedere era sicuramente una persona che non considerava i musei. Perché credetemi, Berlino ne è piena! Basterebbe citare l'isola dei musei, un complesso enormemente meraviglioso, accanto al fiume, in cui sono situati ben 5 musei. Distrutti durante la guerra, saranno poi ricostruiti per diventare, oggi, uno dei punti più visitati di Berlino. Il più visitato è il Pergamonmuseum, museo di arte classica, asiatica e islamica. Particolarità di questo museo è la presenza di porte, come quella del Mercato di Mileto, originali, di altezze vicine ai 20 m. Il visitatore è in una sala museale, ma guardando le architetture che ha attorno potrebbe benissimo essere all'aperto, altrove. Una sensazione magnifica. Il Bode Museum, sulla punta dell'isola e quindi circondato dall'acqua, presenta una collezione unica di sculture, comprendenti Donatello, Canova e Bernini (orgoglio nazionale!!!). Il Neues Museum, poi, contiene principalmente reperti di arte egizia, comprendenti numerosi papiri. Il pezzo forte di esso è il busto di Nefertiti, contenuto in una sala speciale. Incantevole è dire poco, rispecchia la perfezione e la bellezza. 
L'Alte National Galerie è uno spettacolo già dall'esterno. Si presenta come un tempio, con ampie scalinate all'esterno per salire fino all'ingresso, che lasciano il visitatore meravigliato. Inutile dire che, da lì sopra, la vista sui dintorni è bellissima! 
Una delle più ricche raccolte di opere d'arte che può vantare i nomi di grandi come Monet, Caspar David Friedrich, Renoir. 
Infine, non per bellezza, troviamo l'Altes Museum, una raccolta di opere d'arte di ogni genere dell'antichità classica. Anche qui, come nei precedenti la struttura che ospita le opere è un'opera d'arte di per sé, con un'immensa cupola a due piani da visitare con il naso all'insù. Si tratta di una visita bella ricca, piena, veramente, di opere d'arte da ammirare. Bisognerebbe passare l'intera settimana solo lì perché si tratta di opere d'arte usate come contenitori di altre opere d'arte. 
Purtroppo, a Ottobre del 2020, i musei sono stati vandalizzati, circa 70 opere tra sarcofagi, quadri e sculture sono state imbrattate con una sostanza oleosa che ha macchiato indelebilmente le opere. Il motivo è sconosciuto, ma, come è stato detto dalle autorità berlinesi, la cultura merita maggiore protezione.



martedì 26 gennaio 2021

Recensione Backstage di un compositore di F. Frizzi - Graphofeel

 Buonasera lettori e buon martedì!

Torno, decisamente dopo troppo tempo, a parlarvi di un libro che mi ha tenuto compagnia durante le vacanze di Natale.

Si tratta di Backstage di un compositore di Fabio Frizzi, edito Graphofeel e pubblicato ad ottobre 2020.

Probabilmente il suo nome a molti non dirà nulla (a differenza di quello del fratello scomparso, Fabrizio, noto conduttore televisivo), ma questo è un po' il prezzo da pagare quando, nei film, sei il compositore delle canzoni. In questo mondo, Fabio, è un personaggio importante.

Attraverso le pagine di questa autobiografia si scoprono i numerosi volti di un artista, sia a livello personale sia a livello lavorativo.

Scopriamo sin dall'inizio del libro che, in famiglia, c'erano molti presupposti perché la musica divenisse una grande passione, come la nonna e gli zii appassionati d'opera e di corali. Un oggetto importante, per l'infanzia di Fabio, fu un mandolino, regalato dal nonno al padre e che Fabio, ancora oggi, conserva. In più in casa c'era una collezione di dischi. Un punto di partenza, però, fu uno spettacolo musicale a scuola, per cui Fabio venne scelto come direttore. 

Il tempo per la musica, però, sembrava non esserci. Fabio faceva ben due sport tra cui il nuoto, iniziato ad otto anni e di cui era molto appassionato. 

Soffrendo, però, di asma fu costretto a smettere, ritrovandosi ad avere tantissimo tempo libero da impiegare, senza nessun modo per farlo. Tutto ciò finché non iniziò a studiare chitarra e così entrò definitivamente in questo mondo che non ha più lasciato.

Ho apprezzato veramente tanto gli aspetti umani e personali rappresentati nel libro, narrati in prima persona e con l'ammissione, riportando le parole usate da Fabio Frizzi:

Mi sembra strano. Molto strano.

La decisione di raccontarmi va un po' contro la mia natura. Certo, quando si sta in compagnia, con gli amici, durante una prova, a cena in famiglia, i racconti fanno parte della normalità. [...]

Ma io amo il basso profilo. E quando mi è venuta l'idea di ripercorrere la mia storia, il mio rapporto con il lavoro, con la mia piccola passione, con il virus che ho contratto da piccolo e dal quale non sono più guarito, l'ho ricacciata tante volte nel profondo.

Di solito, si conoscono sempre gli artisti in qualità di artisti, e sempre poco dal lato personale, per cui a mio parere, questo mettersi a nudo, anche con qualche difficoltà, è un valore aggiunto - e notevole - del libro in questione.

Da quelle lezioni, poi, Fabio non si è mai fermato, lavorando con maestri importanti, di cui aveva ammirato il lavoro in precedenza. 

Come leggiamo nella prefazione di Vincenzo Mollica, il lavoro di Fabio Frizzi, è davvero importante. Per un compositore, nelle colonne sonore, non è abbastanza comporre buona musica. Serve, infatti, musica vera, pura, sincera (e quindi, queste sono caratteristiche che devono appartenere all'artista), in grado di emozionare e di trasmettere all'ascoltatore messaggi veri, corrispondenti al messaggio che l'opera per cui si è composta la colonna sonora vuole trasmettere. 


Non si ferma però solo a una storia personale. Infatti attraverso le pagine, attraverso la narrazione totalmente coinvolgente, che invita il lettore a sognare, a viaggiare con la mente, ci viene proposta anche una storia della musica del cinema, dei principali rappresentanti della categoria con cui ha lavorato (per citare i forse più famosi Carlo ed Enrico Vanzina), dei lavori svolti da Frizzi, tra cui vanno ricordati, tra i più importanti Fantozzi, I quattro dell'apocalisse, Sette note in nero (che venne inserito, da Tarantino, in Kill Bill).

A fine anni '80, Frizzi, brulicava di idee, prima tra tutte quella di avere un'orchestra propria. Ideò così uno spettacolo, in cui cantanti tenori si sarebbero avvicinati al genere pop. Inoltre aveva un'altra idea spettacolare, quella di realizzare uno spettacolo con musiche realizzate per il cinema dai più grandi compositori, quali Morricone o Piovani. 

Davvero enorme, ed espressa benissimo nel libro, la passione che Frizzi mette nel suo lavoro, nella musica.

Tanto da stilare, nel suo quotidiano a riportata tra le pagine, una lista di promemoria che lui chiama "I Dieci Comandamenti per il compositore". Il più curioso, per me, è il primo, "non innamorarsi mai del proprio tema" - perché, come egli stesso spiega, si tratta di un prodotto da attribuire a un film, che deve piacere a tutti. Le passioni di tutti vanno messe davanti a un amore personale -. 

Ora però la smetto di parlare o rischio di raccontarvi tutto!

Però, voi, potete (e dovete) acquistarlo. 

415 pagine che vi faranno appassionare alla sua storia e al suo lavoro.

Vi lascio, cliccando QUI, il sito della casa editrice, dove potrete trovare tutte le informazioni.

A presto!