lunedì 15 giugno 2020

Recensione "Cirkus Columbia" di Ivica Dikic, Bottega Errante

Alti e bassi.
Momenti in cui divoro libri in due giorni e momenti in cui portare a termine due libri al mese è un'impresa colossale. 
Ecco come descriverei la mia vita da lettrice, da sempre. 
E a salvarmi da quei momento grigi è sempre un libro magico, che mi trasporta.
E' il caso del libro di cui vi sto per parlare oggi.
Un libro che, in questo periodo in cui i viaggi come eravamo abituati a fare sono solo un progetto per un futuro indefinito, mi ha portato con la mente in altre terre e da altre persone.
Mi ha riportato dove, tempo fa, sono stata per due volte.  
E dove ho lasciato una gran parte di cuore e non vedo l'ora di tornare. 

"Cirkus Columbia", romanzo di Ivica Dikic, è stato pubblicato nel 2019 da Bottega Errante, potete accedere al loro sito cliccando QUI. E' uno spaccato degli anni '90 raccontato attraverso le vicende di un piccolo paese dell'Erzegovina e dei suoi abitanti che, attraverso le loro storie, riescono a rendere al lettore un quadro completo e rapportabile al più ampio territorio che si è visto coinvolto nella guerra che ha segnato la fine dello scorso secolo. Dikic, l'autore, in Bosnia Erzegovina ci è nato, 15 anni prima dell'inizio della guerra. E' infatti originario di Tomislavgrad, un paese ad est di Sarajevo, quasi al confine con la Croazia. Ha vissuto personalmente gli anni di cui racconta e nelle sue opere trae spunto da fatti realmente accaduti ed eventi storici, per raccontarli sotto forma di romanzo creandogli una linea narrativa attorno. 

In "Cirkus Columbia", nello specifico, le vicende narrate hanno inizio prima dell'inizio del conflitto, quando una macchina, una Mercedes bianca, arriva tra le stradine del paese in cui è ambientato: si tratta della macchina di Divko Buntic, bosniaco di origine che, dopo molti anni trascorsi all'estero, decide di tornare, assieme alla moglie Azra e al gatto Bonny, nel suo paese. Qui, al paese, aveva lasciato tanti conoscenti oltre che la prima moglie, Lucija e il figlio Martin, ormai grande. Sarà proprio lui a innescare l'evento che da origine a tutte le vicende tra i cittadini. Infatti per colpa del ragazzo, durante una visita a casa del padre, il gatto Bonny scapperà. Divko, che teneva al gatto più che ad un figlio, metterà in palio soldi a chiunque troverà il gatto. Si innesca così la presentazione di vari personaggi, punti cardine del racconto, e tutti collegati dalla stessa sorte: la guerra, che sarebbe scoppiata da lì a qualche mese. 

Una delle caratteristiche più particolari che ho notato durante la lettura, pagina dopo pagina, è che non viene mai fatta menzione diretta ad eventi di guerra, che rimane sempre lo sfondo e la cornice alle vicende dei personaggi coinvolti. 
La intravediamo nel racconto di Janko Ivanda, un giovane del paese, che attraverso i suoi racconti ci parla dei suoi vicini, Avdo, lavoratore e calciatore, la moglie Safija e i suoi figli. Ci sono alcune parole specifiche che rappresentano alla perfezione la brutalità, il dolore e l'orrore che hanno caratterizzato la guerra balcanica:

"Giunsero poi tempi peggiori e più incasinati, i tempi nei quali Avdo, la zia Safija e i loro figli dovevano diventare nemici di mia madre, dei miei fratelli e anche miei".

Dovevano. Da un giorno all'altro. Qualcuno decise chi doveva essere nemico di chi, solo perchè di etnia, di religione diversa. Persone che prima erano amiche, amanti..

Dikic riesce alla perfezione a rappresentare una realtà semplice, cittadina, che garantisce alla lettura una scorrevolezza piacevole, senza parti noiose o piene di dati storici che spesso possono spezzare la lettura se troppo abbondanti ed invasivi. Ma al tempo stesso, con i dialoghi, le vicende, i fatti narrati crea finestre che si affacciano sulla realtà e fanno riflettere il lettore su ciò che è stato, su cosa è successo. 

Sottolineo che sono riflessioni mai banali e scontate perché offrono spunti e punti di vista anche a chi, come me, conosce, almeno un po', la storia degli anni '90. Questo avviene grazie alla ricchezza di contenuti, di inventiva, alla gran capacità di creare un filo narrativo coerente e coeso, che porta il lettore verso una direzione ben definita e mai lo fa perdere in elementi secondari o in strade che portano fuori dalla narrazione. 

Una nota di merito la devo assolutamente spendere per il lato sintattico del libro, a cui va un riconoscimento anche al traduttore Silvio Ferrari. Mi sono imbattuta, più di una volta durante la lettura, in periodi lunghi più di mezza pagina. Cadere nella perdita del filo del discorso è l'errore più comune quando si usa una sintassi del genere e ciò porta il lettore a non capire di chi o cosa si sta parlando o a perdere il senso. Invece, in questi casi, mi sono ritrovata a leggere più volte tali periodi per ammirarne la pulizia, la chiarezza, la correttezza. 

Mi ero ripromessa di non parlare, parlare, parlare, parlare perchè, per chi mi segue su Instagram (mondodilibri_bookblog), sa che ho manifestato la mia passione per questa terra, l'amore per la popolazione, la cultura, il calore che ti regala. Per cui questa lettura, come ho detto all'inizio, è stata un po' magica e, con tutto ciò che mi ha regalato, avrei altre mille cose da dire. 

Per cui io ve la stra-consiglio. A tutti. Perchè merita, così come merita tanto la terra in cui è ambientata. Poi, se vi va, magari ne possiamo parlare insieme! 


lunedì 1 giugno 2020

Recensione "Ai sopravvissuti spareremo ancora" di C. Lagomarsini

Buon lunedì a tutti e buon inizio giugno.

Il primo giorno del mese coincide con il primo giorno della nuova settimana e questo mi fa pensare che sia il giorno giusto per fare cose.

Una delle cose che da troppo tempo rimandavo era il parlarvi di un capolavoro che ho letto qualche mese fa, non perchè non volessi parlarne ma perchè farlo mi è difficile, mi è difficile trovare le parole giuste per farlo.

Il libro in questione è "Ai sopravvissuti spareremo ancora" di Claudio Lagomarsini, edito da Fazi Editore a Gennaio 2020. 
Il libro, in copertina flessibile, è formato da 206 pagine e il prezzo di copertina è di €16,00. 
In ogni caso vi lascio anche il link della pagina ad esso dedicata sul sito della casa editrice, a cui potete accedere cliccando QUI.

E' il romanzo di esordio di Claudio, ragazzo toscano e ricercatore di Filologia romanza all'Università di Siena. Il suo curriculum vede pubblicati vari suoi articoli e racconti, prima di esordire (devo dirlo, in un modo meraviglioso) con un romanzo. 

"Ai sopravvissuti spareremo ancora" è un libro che, se dovessi definirlo con due aggettivi soltanto, descriverei con semplice ed intenso. 

Del protagonista noi non conosciamo il nome ma solo il soprannome con cui lo chiamava il fratello maggiore quando erano adolescenti, il Salice. 
Da adulto si trova costretto a tornare a casa, nella sua città natale, a causa della vendita della casa in cui è cresciuto. La madre, che si è trasferita e si trova a dover accudire ogni giorno il compagno, chiamato nel racconto Wayne, ormai gravemente malato, ha deciso di non volerne sapere niente di ciò che la vecchia casa contiene, così il Salice deve disfarsi degli scatoloni, segnando quelli che l'agenzia può portare via. Durante questa operazione però si imbatte in una scatola di quaderni, che appartenevano al fratello maggiore, Marcello. Risalgono ad un'estate dei primi anni 2000, in cui i due ragazzi, adolescenti, trascorrevano il tempo in un modo estremamente opposto. Così il Salice decide di aprirli, di iniziare a leggere. E' un'azione di cui forse sentiva il bisogno, attraverso le parole di Marcello ha la possibilità di conoscere come lui viveva le cose, di conoscere i suoi pensieri. Ma è un'azione anche dolorosa perchè, pagina dopo pagina, il Salice deve fare i conti col suo passato. 

Ma deve fare soprattutto i conti con la sua situazione familiare, che probabilmente nel presente interpreta in modo diverso rispetto al momento in cui i fatti narrati sono accaduti. Emergono infatti dissapori, litigi, screzi, rapporti dovuti ma non voluti. Emergono aspetti che da ragazzino non puoi capire in modo assoluto, soprattutto se, come Marcello ce lo descrive, sei un ragazzo come il Salice che ogni giorno ed ogni sera esce, va al mare, vede gli amici, e vive solo in parte la casa. 
I due ragazzi abitano con la madre e il compagno di essa. Il padre, ormai da anni, non vive più con loro. Compaiono, in molteplici episodi, anche i figli di Wayne, anch'essi così diversi da Marcello, sensibile, pacato, solitario e silenzioso. 
Accanto a loro vivono la nonna materna e il Tordo, un vecchio vicino che ha una storia "segreta" con la nonna e che fa praticamente parte della loro vita familiare. 

Marcello ci rende tutti questi personaggi attraverso la narrazione di episodi quotidiani e semplici, come il racconto di una telefonata arrivata durante la colazione, della nonna che porta un dolce alla madre, di un bicchiere di vino bevuto durante una delle tante cene fatte sotto un gazebo d'estate. 

Niente di più e niente di meno, a livello della trama del racconto. Una storia che potrebbe essere di chiunque, senza abitudini stravaganti o vite spettacolari. 

Ed è proprio qui che viene il punto forte della narrazione. 
Il riuscire a raccontare tanto dietro parole che sembrano dire nulla. 
L'autore, attraverso la rappresentazione di scene che possono apparire (passatemi il termine virgolettato) anche "ripetitive", ci rende un background ricco di riflessioni e elementi chiave del racconto. 
Attraverso un semplice scambio di battute ci mostra come la psiche di ognuno di noi vive gli avvenimenti in modo diverso. Attraverso un semplice gesto normalissimo, come il pagamento di una bolletta, ci mostra come nel secolo scorso ci fosse una visione della donna inferiore e una visione basata sull'idea che chi portava i soldi a casa aveva il diritto di prendere ogni decisione. Attraverso il racconto di una cena ci mostra come tra la generazione dei nonni e quella dei nipoti ci siano visioni completamente opposte della vita. Attraverso un banale litigio ci mostra come la più piccola cosa, se non risolta, possa portare a fratture irreversibili, a dolore e dramma.  

Scrivere un bel libro non è facile, ma ancora meno facile è scrivere un bel libro in modo semplice. 

"Ai sopravvissuti spareremo ancora" tiene il lettore incollato alle pagine giorno dopo giorno, cena dopo cena, litigio dopo litigio. E' quel libro che ogni tanto ti fa fermare e ti fa riconoscere nella situazione, che ogni tanto ti fa scattare la mente e ti fa capire che dietro ciò che stai leggendo c'è veramente un mondo pieno di questioni sociali, psicologiche, emotive. 

"Ai sopravvissuti spareremo ancora" è quel libro che mi ha fatto rimanere senza parole, perchè spiegare la semplicità, paradossalmente, mi riesce sempre difficilissimo. Ma di parole questo capolavoro ne merita, e ne merita anche tante. 

Per cui, se volete riscoprire qualcosa di nascosto dentro di voi, dentro la vostra vita, dentro il vostro passato, leggetelo, fatevi questo immenso regalo!

E sentitevi un po' sopravvissuti anche voi, come forse lo è il Salice, che a distanza di anni ha una seconda occasione per conoscere quello che non ha voluto conoscere da ragazzo, e che senza quei quaderni non avrebbe mai potuto conoscere.